4 resultados para Podridao-mole

em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


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Nuclear Magnetic Resonance (NMR) is a branch of spectroscopy that is based on the fact that many atomic nuclei may be oriented by a strong magnetic field and will absorb radiofrequency radiation at characteristic frequencies. The parameters that can be measured on the resulting spectral lines (line positions, intensities, line widths, multiplicities and transients in time-dependent experi-ments) can be interpreted in terms of molecular structure, conformation, molecular motion and other rate processes. In this way, high resolution (HR) NMR allows performing qualitative and quantitative analysis of samples in solution, in order to determine the structure of molecules in solution and not only. In the past, high-field NMR spectroscopy has mainly concerned with the elucidation of chemical structure in solution, but today is emerging as a powerful exploratory tool for probing biochemical and physical processes. It represents a versatile tool for the analysis of foods. In literature many NMR studies have been reported on different type of food such as wine, olive oil, coffee, fruit juices, milk, meat, egg, starch granules, flour, etc using different NMR techniques. Traditionally, univariate analytical methods have been used to ex-plore spectroscopic data. This method is useful to measure or to se-lect a single descriptive variable from the whole spectrum and , at the end, only this variable is analyzed. This univariate methods ap-proach, applied to HR-NMR data, lead to different problems due especially to the complexity of an NMR spectrum. In fact, the lat-ter is composed of different signals belonging to different mole-cules, but it is also true that the same molecules can be represented by different signals, generally strongly correlated. The univariate methods, in this case, takes in account only one or a few variables, causing a loss of information. Thus, when dealing with complex samples like foodstuff, univariate analysis of spectra data results not enough powerful. Spectra need to be considered in their wholeness and, for analysing them, it must be taken in consideration the whole data matrix: chemometric methods are designed to treat such multivariate data. Multivariate data analysis is used for a number of distinct, differ-ent purposes and the aims can be divided into three main groups: • data description (explorative data structure modelling of any ge-neric n-dimensional data matrix, PCA for example); • regression and prediction (PLS); • classification and prediction of class belongings for new samples (LDA and PLS-DA and ECVA). The aim of this PhD thesis was to verify the possibility of identify-ing and classifying plants or foodstuffs, in different classes, based on the concerted variation in metabolite levels, detected by NMR spectra and using the multivariate data analysis as a tool to inter-pret NMR information. It is important to underline that the results obtained are useful to point out the metabolic consequences of a specific modification on foodstuffs, avoiding the use of a targeted analysis for the different metabolites. The data analysis is performed by applying chemomet-ric multivariate techniques to the NMR dataset of spectra acquired. The research work presented in this thesis is the result of a three years PhD study. This thesis reports the main results obtained from these two main activities: A1) Evaluation of a data pre-processing system in order to mini-mize unwanted sources of variations, due to different instrumental set up, manual spectra processing and to sample preparations arte-facts; A2) Application of multivariate chemiometric models in data analy-sis.

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La specificità dell'acquisizione di contenuti attraverso le interfacce digitali condanna l'agente epistemico a un'interazione frammentata, insufficiente da un punto di vista computazionale, mnemonico e temporale, rispetto alla mole informazionale oggi accessibile attraverso una qualunque implementazione della relazione uomo-computer, e invalida l'applicabilità del modello standard di conoscenza, come credenza vera e giustificata, sconfessando il concetto di credenza razionalmente fondata, per formare la quale, sarebbe invece richiesto all'agente di poter disporre appunto di risorse concettuali, computazionali e temporali inaccessibili. La conseguenza è che l'agente, vincolato dalle limitazioni ontologiche tipiche dell'interazione con le interfacce culturali, si vede costretto a ripiegare su processi ambigui, arbitrari e spesso più casuali di quanto creda, di selezione e gestione delle informazioni che danno origine a veri e propri ibridi (alla Latour) epistemologici, fatti di sensazioni e output di programmi, credenze non fondate e bit di testimonianze indirette e di tutta una serie di relazioni umano-digitali che danno adito a rifuggire in una dimensione trascendente che trova nel sacro il suo più immediato ambito di attuazione. Tutto ciò premesso, il presente lavoro si occupa di costruire un nuovo paradigma epistemologico di conoscenza proposizionale ottenibile attraverso un'interfaccia digitale di acquisizione di contenuti, fondato sul nuovo concetto di Tracciatura Digitale, definito come un un processo di acquisizione digitale di un insieme di tracce, ossia meta-informazioni di natura testimoniale. Tale dispositivo, una volta riconosciuto come un processo di comunicazione di contenuti, si baserà sulla ricerca e selezione di meta-informazioni, cioè tracce, che consentiranno l'implementazione di approcci derivati dall'analisi decisionale in condizioni di razionalità limitata, approcci che, oltre ad essere quasi mai utilizzati in tale ambito, sono ontologicamente predisposti per una gestione dell'incertezza quale quella riscontrabile nell'istanziazione dell'ibrido informazionale e che, in determinate condizioni, potranno garantire l'agente sulla bontà epistemica del contenuto acquisito.

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La VI regio augustea di Roma rappresenta uno dei settori urbani maggiormente investiti dalle modifiche radicali compiute dall’uomo nel processo di urbanizzazione della città che ne hanno modificato profondamente la situazione altimetrica e la conformazione originaria. Questi notevoli cambiamenti ebbero origine sin dall’età antica, ma si intensificarono profondamente soprattutto nel periodo rinascimentale quando a partire da Pio IV e soprattutto con Sisto V, attivo in tante altre zone della città, si svilupparono numerose opere di rinnovamento urbanistico che incisero notevolmente sul volto e sulle caratteristiche della zona in esame. A partire dal Rinascimento fino ad arrivare ai grandi scavi della fine del 1800 tutto il quartiere incominciò a “popolarsi” di numerosi edifici di grande mole che andarono ad intaccare completamente le vestigia del periodo antico: la costruzione del Palazzo del Quirinale e dei vari palazzi nobiliari ma soprattutto la costruzione dei numerosi ministeri e della prima stazione Termini alla fine dell’800 comportarono numerosi sventramenti senza la produzione di una adeguata documentazione delle indagini di scavo. Questa ricerca intende ricostruire, in un’ottica diacronica, la topografia di uno dei quartieri centrali della Roma antica attraverso l’analisi dei principali fenomeni che contraddistinguono l’evoluzione del tessuto urbano sia per quanto riguarda le strutture pubbliche che in particolar modo quelle private. Infatti, il dato principale che emerge da questa ricerca è che questa regio si configura, a partire già dal periodo tardo-repubblicano, come un quartiere a vocazione prevalentemente residenziale, abitato soprattutto dall’alta aristocrazia appartenente alle più alte cariche dello Stato romano; oltre a domus ed insulae, sul Quirinale, vennero costruiti lungo il corso di tutta l’età repubblicana alcuni tra i più antichi templi della città che con la loro mole occuparono parte dello spazio collinare fino all’età tardoantica, rappresentando così una macroscopica e costante presenza nell’ingombro dello spazio edificato.

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Basata sul reperimento di un’ampia mole di testi giornalistici (come cronache, interviste, elzeviri e articoli di “Terza”) dedicati alle pratiche coreiche e pubblicati in Italia nel corso del ventennio fascista, la tesi ricostruisce i lineamenti di quello che, seppure ancora embrionale e certo non specialistico, si può comunque ritenere una sorta di “pensiero italiano” sulla danza del Primo Novecento. A partire dalla ricognizione sistematica di numerose testate quotidiane e periodiche e, pertanto, dalla costruzione di un nutrito corpus di fonti primarie, si è proceduto all’analisi dei testi reperiti attraverso un approccio metodologico che, fondamentalmente storiografico, accoglie tuttavia alcuni rudimenti interpretativi elaborati in ambito semiotico (con particolare riferimento alle teorizzazioni di Jurij Lotman e Umberto Eco), il tutto al fine di cogliere, pur nell’estrema varietà formale e contenutistica offerta dal materiale documentario, alcune dinamiche culturali di fondo attraverso le quali disegnare, da un lato, il panorama delle tipologie di danza effettivamente praticate sulle scene italiane del Ventennio,e, dall’altro, quello dell’insieme di pensieri, opinioni e gusti orbitanti attorno ad esse Ne è scaturita una trattazione fondamentalmente tripartita in cui, dopo la messa in campo delle questioni metodologiche, si passa dapprima attraverso l’indagine dei tre principali generi di danza che, nella stampa del periodo fascista, si ritenevano caratteristici della scena coreica internazionale – qui definiti nei termini di “ballo teatrale”, “ballo russo” e “danze libere” – e, successivamente, si presenta un approfondimento su tre singolari figure di intellettuali che, ognuno con un’attitudine estremamente personale, hanno dedicato alla danza un’attenzione speciale: Anton Giulio Bragaglia, Paolo Fabbri e Marco Ramperti. Un’ampia antologia critica completa il lavoro ripercorrendone gli snodi principali.